Fonte egovnews
di Carlo Maria Medaglia e Lorenzo Orlando
L’estenuante dibattito sull’open source si è ormai spinto ben al
di là della semplice questione tecnica, tirando in ballo argomenti di
carattere etico legati alla responsabilità stessa della pubblica
amministrazione nei confronti dei suoi utenti e dei cittadini in genere.
Tra confusione sui termini, necessità di condivisione e apertura al
pubblico, siamo ancora alla ricerca di un qualcosa che ci unisca. Quanto
tempo serve ancora?
Tra i tanti temi legati all’innovazione tecnologica e di processo
nella pubblica amministrazione, quello dell’open source vanta
probabilmente il primato per numero di pubblicazioni, studi, ricerche e
convegni. Parole, quindi, spesso confuse, enfatizzate, talvolta caricate
di significati e potenzialità cui non sempre segue un’adeguata
traduzione in “fatti”. Più volte su queste pagine si è evocata
l’adozione di piani che consentano una graduale “apertura” della
pubblica amministrazione sia verso i cittadini che verso se stessa: l’affermarsi
del concetto di “open” trova nell’open source una sua componente
primaria in grado di tradursi in interoperabilità, riuso, indipendenza
e, perché no, libertà. È oramai noto come il dibattito
sull’“open source” si sia spinto ben al di là della semplice questione
tecnica, tirando in ballo argomenti di carattere etico legati alla
responsabilità stessa della pubblica amministrazione nei confronti dei
suoi utenti e dei cittadini in genere. Alla luce delle attuali
difficoltà economiche nazionali (e globali) e a fronte di una spesa di
acquisto e licenze d’uso di software proprietario stimata in circa 700
milioni di euro anni, la capacità di riconfigurare costi e
previsioni di spesa sulla base di parametri nuovi, indipendentemente dai
classici contratti di fornitura dei servizi, trova nelle soluzioni open
source un passo che, se pur non obbligato, può rappresentare una più
che valida soluzione.
Una storica confusione: open source e free software
Non è infrequente ascoltare amministratori e politici di turno utilizzare i termini “open source” e “software libero”
(o free software) come se si trattassero di sinonimi. Pur riferendosi
entrambi alla libertà di accesso al “codice sorgente” di uno specifico
artefatto informatico (sia esso software o hardware), i due termini
differiscono invece per alcune sostanziali sfumature di carattere etico e
ideologico. Per software libero intendiamo ogni tipo di software la cui licenza d'uso consenta la libera copia, modifica e redistribuzione del programma. Il termine è stato definito da Richard Stallmann e dalla Free Software Foundation (FSF) nel 1985, e pone l'accento sulla “libertà di utilizzo” del software,
appoggiandosi inoltre sul ruolo cruciale solto dalla comunità degli
sviluppatori e degli utilizzatori di software libero, intesa come luogo
di condivisione e crescita del sapere. Il termine “open source”, sebbene
dal punto di vista pratico sia la stessa cosa del software libero,
tende a concentrarsi con gli aspetti propriamente “di codice”, ponendo
l'accento sui vantaggi pratici ed eliminando riferimenti etici. In
informatica, open source (termine inglese che significa sorgente aperto)
indica un software i cui autori (o, più precisamente, i detentori dei diritti) permettono e favoriscono il libero studio e l'apporto di modifiche da parte di altri programmatori indipendenti.
Questo è realizzato mediante l'applicazione di apposite licenze d'uso.
La collaborazione tra più gruppi di lavoro permette al prodotto finale
di raggiungere una complessità maggiore di quanto potrebbe ottenere una
singola parte. L'open source ha visto nella diffusione di Internet un
potentissimo strumento di lavoro e comunicazione, perché esso ha
permesso il coordinamento tra team di programmazione geograficamente
distanti m impegnati sullo stesso progetto, consentendo inoltre ai team
di piccole dimensioni (o talvolta costituiti da un’unica persona) di
partecipare a progetti di portata internazionale. A far da
differenziale tra i due tipi di software è la licenza adottata: mentre
per il free software si adottano licenze di tipo OpenGPL, per l’open
source si sviluppano licenze ad hoc. Già in queste due semplici
definizioni si evince come, a ben vedere, l’aspetto economico
(banalmente legato ai costi delle licenze d’uso e della manutenzione,
spesso effettivamente inferiori rispetto agli attuali costi di mercato
delle soluzioni proprietarie) non rappresenti il core del software
libero: free e open, infatti, non sono sinonimo di gratuità. Ad aggiungere valore è però
l’indipendenza dal fornitore, la riusabilità, la possibilità di
personalizzazione, la sicurezza e il maggior controllo dei propri
strumenti: tutti elementi che rivestono un ruolo chiave in un
approccio d’innovazione di sistema che superi finalmente lo scenario a
macchia di leopardo tipico delle esperienze d’innovazione in Italia.
Un’ulteriore differenza che può esser utile sottolineare è quella che
intercorre tra “progetto open source” e “prodotto”. Il progetto open
source tipicamente ha come output un programma sia esso in forma di
eseguibile o di sorgente, ed è corredato da una serie di risorse
(repository, bug-tracking, documentazione, forum attivo, mailing-list).
Il prodotto invece risponde ai problemi di una determinata classe di
clienti, ai quali si offrono programmi corredati da determinati servizi
(ad esempio supporto, formazione, partner certificati).
SOFTWARE LIBERO
Ogni tipo di software la cui licenza d'uso consenta la libera copia, modifica e redistribuzione del programma
OPEN SOURCE
Software
i cui autori (o, più precisamente, i detentori dei diritti) permettono e
favoriscono il libero studio e l'apporto di modifiche da parte di altri
programmatori indipendenti
mercoledì 14 marzo 2012
Open source e software libero: l’innovazione etica per P.A. e cittadini
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